
L’isola dell’Asinara: angeli e demoni
L’isola delle contraddizioni
Quest’isola è qualcosa che si avvicina molto all’immagine che si può avere del Paradiso, ma che nasconde però la dannazione di un luogo che per anni è stato il simbolo di condizioni carcerarie disumane e alienanti.
Il mare bellissimo che noi possiamo ammirare oggi e con cui riempiamo i nostri occhi di meraviglia, è lo stesso mare che ha allontanato per più di un secolo i detenuti dell’Asinara dalla loro libertà.
Non ero mai stata in questa piccola isola a nord della Sardegna. Il suo nome è stato sempre legato, nella mia mente, al suo carcere, e soprattutto al lavoro indimenticabile e straordinario (8000 pagine di istruttoria per il maxi processo) di due uomini che avevano cercato di lottare contro forze più grandi di loro, più grandi di tutti.
L’immagine ricorrente che avevo dell’isola era infatti quella di Falcone e Borsellino che camminavano sotto il sole estivo, consci della precarietà della loro vita e di quella dei loro cari.
Ma questa giornata sull’isola mi ha rivelato molto di più: colori, sapori, odori e tante storie raccontate dal nostro capitano Mario, che da generazioni butta e raccoglie le nasse intorno all’isola e che ne conosce ogni singolo angolo di mare e di terra.


L’isola degli asinelli
Il nome Asinara deriva da Sinuaria appellativo dato dai Romani per la sua forma allungata e le sue coste frastagliate.
Successivamente è stato legato invece alla presenza degli asinelli, vista la varietà di asinelli albini (bianchi) che popola l’isola, diventando appunto “isola degli asini”.
E sono stati proprio gli asinelli a catturare la mia attenzione nella prima caletta dove abbiamo buttato l’ancora dopo circa un’ora di viaggio (cala barche napoletane).
Superati i primi minuti di stupore dovuto ai colori dell’acqua, al silenzio quello avvolgente, alle pochissime tracce di presenza umana, mi sono diretta verso una costruzione abbandonata e diroccata che si vedeva dalla spiaggia e che sicuramente, oltre ad un bel panorama, avrebbe nascosto qualche tesoro.
Non potevo esimermi dall’andare ad esplorare un posto così; io che amo tutto ciò che, nonostante sia in rovina, conserva l’atmosfera di un tempo trasmettendo inconsapevolmente storie passate.
La struttura abbandonata era adibita probabilmente alla spremitura dell’uva o dell’olio, vista la grande mola presente all’esterno.





Una volta arrivata, dopo aver percorso e piedi nudi un breve sentiero, mi sono avvicinata alle spaccature presenti sui muri della casa in rovina e il mio sguardo ha incrociato due occhi scuri che mi fissavano senza paura.
Questi asinelli, fermi come statue, si stavano facendo accarezzare dal leggero venticello che si insinuava dolcemente tra le spaccature emettendo un sottile sibilo . Con molta discrezione ho cercato di fotografarli e cogliere un momento che a me ha veramente suscitato belle emozioni.
Vedere il mare blu in lontananza attraverso le aperture nel muro, formando cornici una dentro l’altra come in un quadro, in un luogo lontano dalla realtà, mi ha disteso e trasmesso tanta pace.








L’isola dei dannati della terra
“L’isola dei dannati della terra”, la Caienna italiana, l’ Alkatraz italiano e ancora “Ti faccio trasferire all’Asinara”, tutte affermazioni che rendono l’idea di cosa abbia rappresentato il carcere dell’Asinara per più di un secolo.
La sua chiusura infatti è dovuta alle condizioni disumane a cui erano sottoposti i carcerati, condizioni riconosciute tali da numerose organizzazioni umanitarie nazionali e internazionali.
Quello che ho visitato è il distaccamento carcerario del bunker di cala D’Oliva, uno dei sette edifici carcerari presenti sull’isola.
Questa struttura ha ospitato i boss mafiosi Cutolo e Riina che venivano sorvegliati 24h al giorno. Il carcere si trova a pochi metri dal borgo del porto di cala D’Oliva che per ironia della sorte era stato scelto dallo stato per ospitare Falcone e Borsellino durante un’estate.
Il borgo ha infatti una chiesetta, la scuola elementare e la diramazione centrale dove vivevano i detenuti con maggiore libertà.









La mia sensazione, arrivando dal mare, è stata quella di una contrapposizione forte tra la bellezza della natura, dei suoi colori, delle sue forme e la struttura in cima che conserva ancora i caseggiati con fili spinati, le torrette di controllo, le mura di cinta fortificate.
Quindi al verde e turchese del mare e della vegetazione si opponeva con forza il grigio delle strutture in cemento armato.
Mario, il capitano, ci ha raccontato alcune storie sul carcere, storie che ha vissuto personalmente in quegli anni in cui faceva il pescatore nelle acque limitrofe. Ci ha parlato dei direttori della struttura penitenziaria, che gli isolani chiamavano il vicerè e la zarina, dell’enorme controllo che questi avevano avuto sulle sorti del carcere e dei prigionieri e di come si fossero arricchiti con comportamenti illeciti e spregevoli.
Vi lascio alla lettura di un articolo sulla figura di Luigi Cardullo, il vicerè dell’Asinara per conoscere in modo approfondito le sorti e le vicissitudini di questo carcere.












L’isola della pesca
La bellezza del mare che bagna le coste dell’Asinara è stupefacente, non solo per i colori tipici del mare sardo, ma per la quasi assenza di imbarcazioni di qualunque genere. Essendo una riserva naturale, in pochi possono godere di questo mare, se non attraverso visite ed escursioni autorizzate. Questo aspetto rende l’isola selvaggia, autentica e protetta.
Io ho scelto una barca di pescaturismo, per esplorare l’Asinara. Nella prima oretta abbiamo tirato su le nasse pescando diverse murene e un grande polipo. E’ stata un’esperienza molto interessante e divertente, anche perchè a pranzo il grande Mario ci ha cucinato un pranzetto davvero gustoso a base di pesce!!
E’ una gita che consiglio a tutti coloro che amano il mare, ma che sono curiosi di ascoltare storie di vecchi pescatori e di visitare luoghi lontani dalla nostra più vivida immaginazione.











Vi lascio il link al sito dell’imbarcazione di pescaturismo Orsa Maggiore.
https://pescaturismoasinaraorsamaggiore.com/pescaturismo-asinara/

Galoppando l’abbandono
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