
“Visto da vicino nessuno è normale“ – murales all’ex manicomio di Santa Maria della pietà.
È sabato pomeriggio e decido di immergermi nel parco dell’ex manicomio di Santa Maria della Pietà a Roma per ammirare i numerosi murales presenti.
Considerato il manicomio più grande di Europa con più di 1000 posti letti, è stato chiuso definitivamente nel 1999, grazie alla legge Basaglia. (“Visto da vicino nessuno è normale“ Franco Basglia)
Per molti anni è stato un sostituto del carcere o dell’ ospedale. Venivano ricoverati non solo coloro che realmente avevano dei disturbi psichiatrici, ma anche alcolisti, tossicodipendenti, orfani, oppositori politici. Erano tutte persone scomode alla società o alla famiglia. La malattia mentale faceva paura e veniva così allontanata e respinta.
I medici di allora non somministravano alcuna cura specialistica ai pazienti, che invece venivano sottoposti a trattamenti aberranti come le pratiche di elettroshock, le camicie di forza, l’insulino-terapia e la lobotomia.
I malati non era considerati pazienti da curare, bensì soggetti da controllare, reprimere, sedare e nascondere.
Tutto era chiuso con sbarre, inferriate, lucchetti e catene.
Chiunque in quei posti, che fosse realmente malato o che fosse internato per altri motivi, perdeva la propria dignità, il proprio equilibrio psicofisico, perdeva i diritti politici e sociali.
I malati, appena entrati, venivano privati di abiti ed effetti personali che, raccolti insieme, diventavano un fagotto legato con degli spaghi e portato poi in un’apposita stanza detta ‘”fagotteria”‘.
Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso Primo Levi
Il contesto è diverso, ma la condizione umana descritta da Primo Levi è la stessa.




Inizio la mia passeggiata partendo dall’entrata di via Trionfale. La struttura è composta da tanti padiglioni all’interno di un parco di 130 ettari. Un bel parco con tanti vialetti e tanti alberi.
I padiglioni sono in parte abbandonati e in parte riutilizzati dalla ASL.
Camminando per questi giardini, mi accorgo subito di come la parte più vicina a via Trionfale, quella ‘attiva’, sia piena di suoni. Ci sono persone che chiacchierano sedute intorno alla fontana centrale, ce ne sono altre in fila in attesa di fare i test per il Covid 19.
Man mano che mi allontano dirigendomi verso i padiglioni abbandonati, il vociare sentito prima si fa sempre più ovattato, fino a scomparire del tutto lasciando il posto ad un ingombrante silenzio.
Decido così di dirigermi verso il museo della mente (che non ho visitato, ma che mi sono ripromessa di fare a breve) dove sono sicura troverò uno spettacolo per gli occhi: il murales di Gomez ‘Le cose che non vedo’.
Mi siedo su una bella panchina all’ombra per preparare la macchina fotografica, ma anche per riflettere su questo luogo.
Le mura che oggi sono colorate, circa 20 anni fa e oltre, nascondevano atti orribili, urla, sconforto, paure.
Ammirando questi murales, è palese l’intenzione di far riaffiorare questi ricordi, queste sofferenze per non dimenticare.
Gomez vuole sensibilizzare l’osservatore che non può fare altro che fermarsi e guardare con stupore queste figure enormi palesemente alienate, che escono dal muro nero del padiglione. Dai loro volti traspare angoscia, disagio e distaccamento dal reale.
Molto drammatiche sono le figure delle voci che escono dalle finestre e che rimbombano nella testa dei pazienti





Proseguendo la passeggiata tra i valetti del parco, incorro in altri murales tutti facenti parte del progetto di street art “Caleidoscopio“, ideato dallo scrittore Maurizio Mequio.
Il progetto è durato più di tre mesi e ha visto la partecipazione di circa 28 artisti, alcuni internazionali.
Il suo scopo è stato quello di dare una seconda possibilità a questi edifici, che per anni sono stati avvolti da sofferenza e angoscia, e allo stesso tempo di creare arte al servizio dei cittadini.
Ancora una volta i murales parlano e raccontano e, nel caso dell’ex anicomio di Santa Maria della Pietà, ci fanno riflettere sulla condizione umana e sulle sue mille sfaccettature.

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